martedì 9 luglio 2013

Il "Grande" Maurizio Zucchetti ha terminato la sua corsa . Come un cavaliere errante della libertà, sempre insaziabile eppure pago, al termine della sua vita si troverà in un posto riservato solo ai Motociclisti, quelli con la M maiuscola. Sarà per sempre sul podio eterno, dinanzi all'Altissimo e nei nostri cuori quaggiù.

                                        Il tuo amico Piermario

venerdì 30 settembre 2011

00 Al nostro amico Ezio PICENI


L’amico Ezio se n’è andato.
L’avevo conosciuto tanti anni fa… lui, di qualche anno più vecchio e più “esperto in piega” lungo le valli che dal bresciano sfociano in Trentino e più su lungo l’Alto Adige, tra quelle pinete fresche e odorose di essenze e aria libera.
Lui, baffone tremendo, castigatore di “jap”, anche solo a parole…
Lui, estimatore del marchio unico…
Lui, irrimediabilmente in conflitto con il resto del mondo che non parlava in lingua desmo…
Lui, che un po’ per scherzo un po’ per necessità ha messo mano a quei motori che ha sempre esaltato e che qualche volta l’han tradito…
Lui, sorridente in quella tuta da meccanico stile anni ’60 con il garage seminterrato stracolmo di ogni non so che…
Lui, distratto e a volte incomprensibilmente riluttante a condividere le soddisfazioni…
Lui, energico nel controbattere le malelingue…
Lui, bambino nel ricordare le sue prime moto…
Lui, uomo nell’accarezzarle spudoratamente…
Lui, marito di una “santa donna”…
Lui, padre nel mandare a quel paese la sua migliore creatura…
Lui, presente se qualcuno aveva un guaio…
Lui, primo tra noi Pomponi…
Lui, orgoglioso e disponibile padano…
Lui, amico di mezza Italia…

Il Vècio Pìcia non c’è più, ma ha tenuto duro fino all’ultimo giro.
Ci ha lasciati una mattina di fine luglio mentre imperversava un temporale, e qualcuno giura che quei tuoni assomigliavano molto al rombo di una Ducati che si allontanava nel cielo.

                                                                                          
                                                                                       Piermario Inverardi

giovedì 15 settembre 2011

07 Il Pantah: telaio e sospensioni

Riallacciandoci a quanto scritto sull'elaborazione del motore Pantah con nostre specifiche, apriamo una parentesi su quello che riguarda l'aspetto della ciclistica di questo modello, così importante nella storia della Ducati, parlando di tutto quello che si può fare per rendere più "agguerriti" telaio e sospensioni.
Se partiamo dalla base, che è un traliccio di tubi in buonissimo acciaio AQ45 (non ancora al Cr-Mo come per i modelli successivi), possiamo dedurne che le misure originali, cioè l'interasse di 1450mm, l'avancorsa di 133mm e l'angolazione del cannotto di sterzo a 30,5°, non sono certo quelle di una moto di recentissima concezione.
E' proprio partendo da questo elemento che abbiamo puntato le nostre attenzioni per cercare di migliorarne le prestazioni.
Anche in questo caso, come per il propulsore, ci sono diverse soluzioni, legate per lo più ad un discorso economico: per esempio il doppio ammortizzatore posteriore lo si può mantenere, magari sostituendolo con modelli più performanti quali Ohlins o Koni, che hanno anche il vantaggio di essere più lunghi di circa 20mm ed in più hanno diverse regolazioni; il nostro consiglio, però, è quello di montare un forcellone in alluminio per guadagnare in leggerezza ed avere la possibilità di montare un pneumatico di sezione maggiore.
A proposito di ruote, è diventato ormai difficile trovare coperture da 18"(come le originali), perchè le case costruttrici hanno in listino per lo più modelli da 17". Nella misura da 17" troviamo anche i cerchi, e non solo in lega d'alluminio, ma addirittura in lega di magnesio, nelle misure 3,50 all'anteriore e 4,50 al posteriore, che influiscono positivamente sul comportamento dinamico della moto.
La forcella originale (da 35mm) risulta essere troppo lunga e debole, soprattutto se montiamo un motore preparato o un impianto freni più potente con pinze a 4 pistoncini e dischi da 280/300mm. E' preferibile adottare una forcella con steli da almeno 40mm, come sono le Italia GP oppure le Marzocchi M1R da 41,7mm.
Ciò permette anche di caricare maggiormente l'avantreno in virtù del fatto che queste ultime sono più corte di almeno 60/70mm rispetto alle originali. Gli eventuali "sbacchettamenti" in uscita di curva si controllano con ammortizzatori di sterzo adeguati.
Di importanza non relativa è anche la possibilità di accorciare l'avancorsa, così da migliorare l'inserimento della moto nelle curve strette, montando delle piastre forcella con minore avanzamento.
Tutte queste possibilità le abbiamo sfruttate per realizzare la special stradale presentata sul numero di ottobre '98 di Mondo Ducati, che è risultata essere, rispetto all'originale, più corta di 25mm all'interasse e di 20mm all'avancorsa, con un peso di poco superiore ai 155kg. Per un uso prettamente pistaiolo si interviene radicalmente sia sul telaio che sulle sospensioni. Per esempio, il telaio può essere rinforzato con dei montanti trasversali e longitudinali che irrigidiscono la struttura, già di per se buona, ma che permettono il montaggio di un propulsore decisamente molto più potente.
L'angolazione del cannotto di sterzo può essere ridotta fino a circa 25°, modificando la struttura dei tubi anteriori, il che porta ad una notevole riduzione dell'avancorsa che scende fra i 98 e i 100mm. 

Al retrotreno, quasi obbligatoriamente, si sceglie la soluzione monoammortizzatore, sia utilizzando un forcellone in alluminio o in acciaio della serie Ducati F1, sia un mono più lungo di 20/30mm. Questo comporta di per se uno spostamento della distribuzione di pesi più favorevole all'anteriore. Ne consegue che la moto, con queste modifiche, guadagna in maneggevolezza e stabilità e diventa competitiva anche contro modelli delle ultime generazioni.
Altre soluzioni che abbiamo adottato per una diversa special, riguardano lo spostamento ulteriore del peso sull'avantreno con una forcella lunga 730mm, piastre forcella di nostra produzione, dischi freno provenienti dal mondiale 250, con tutto l'impianto elettrico e la batteria nel cupolino (di provenienza 888 Racing), l'adozione di un disco freno posteriore da 190mm con pinza ancorata inferiormente  e asta di reazione e due cerchi Marvic da  3,50 e 5,00.
A tutto ciò dobbiamo aggiungere la possibilità di variare la posizione di attacco del mono posteriore, in questo caso un WP da 330mm, con l'utilizzo di supporti specificatamente forati.
Questo esemplare unico è stato dotato di un motore  da 750cc con specifiche Montjuich, assemblato la sera prima della partenza per il 10° Speed-Week a Zeltweg in Austria, e portato in gara nella categoria riservata ai 900cc, dove ha realizzato il 7° tempo su una griglia di 42 partenti.
Tutto questo dimostra le straordinarie potenzialità del motore Pantah e le incredibili prestazioni che gli si possono "tirare fuori" se lo dotiamo di un telaio e di sospensioni all'altezza della situazione. 

sabato 10 settembre 2011

06 L'apoteosi del Pantah

Con questa moto ci avviamo alla conclusione dello spazio dedicato al Pantah inteso come motore max 750cc, 5 marce, carburatori separati, 2 valvole per cilindro e frizione a secco. Si conclude, tra l'altro, nel migliore dei modi, cioè con un trionfo sportivo, perchè questo modello è nato per la pista, ha corso, ha vinto e, solo dopo tale esperienza, è stato prodotto per un utilizzo stradale.
Eh sì, "grandi manici"degli anni '80 si sono distinti con questa moto, da Villa a Ferrari, da Lucchinelli a Roche, e tutti hanno apprezzato il globale equilibrio della ciclistica unita al nervosismo del motore, messo in evidenza dalle splendide sonorità del mitico trombone Conti.
Questa serie di vittorie sia nel Motomondiale che nell'Europeo ha dato origine agli specifici nomi dei modelli F1:
Montjuich, circuito stradale spagnolo all'epoca noto per una 24 ore simile a quella di Le Mans; Laguna Seca, negli States, notissimo anche ai giorni nostri perchè inserito nel mondiale sia SBK che Moto1; Santamonica, frazione di Misano Adriatico, dove un grandissimo Lucchinelli "bastonò" un grande Dunlop che, in sella ad una Honda V4 da 160cv, non riuscì a rimanere nella scia del puledrino tricolore.
Le diversità dei vari modelli non riguardano parti del telaio, bensì la fasatura e la potenza specifica dei motori che vanno dai 75 agli oltre 85cv, per non parlare del vero e proprio motore racing da oltre 90cv. Sono tutte moto ricercate dagli appassionati e non certo solo perchè ne sono stati prodotti pochi esemplari per tipo.
Il modello che presentiamo in anteprima assoluta è frutto di lunghissimi anni di lavoro, per non parlare dell'aspetto economico che ha portato il conto bancario a colorarsi come la parte anteriore della moto.
Abbiamo conservato le caratteristiche cromatiche originali in onore al prodotto tipicamente italiano...ma abbiamo cambiato tutto il resto.
La forcella arriva direttamente (e non sappiamo come) dal Reparto Corse Ducati ed è una Italia rovesciata da 40mm con una esagerazione di regolazioni, sia in compressione che estensione.
Sul cerchio ant. Marvic da 17" è montata una coppia di Brembo flottanti in ghisa da 320mm con due pinze a 4 pistoncini ricavate dal pieno, lo stesso modello portato in gara da Raymond Roche sulla 888 SBK. L'impianto è messo in funzione da una pompa PR19, mentre sulla frizione troviamo una PR16.
Sulla scarna plancia spicca il bel contagiri meccanico Veglia con scala da 2 a 14.000.
Due semimanubri in alluminio e un bell'ammortizzatore di sterzo, sempre della Forcelle Italia, completano l'avantreno. Al posteriore un Ohlins specifico per la F1, procuratoci da un amico inglese che, nel punto più vicino all'Italia nelle sue trasferte di lavoro, si fermava a Parigi. Il rocambolesco recupero di questo ammortizzatore avvenne in un'angosciante giornata di nebbia (in moto!).
Arriviamo così alla parte più segreta della nostra creatura, cioè a tutto quell'insieme di cose che sono nascoste sotto la carena: un "pompone" da 782cc che monta pistoni Cosworth da 90mm con un rapporto di compressione pari a 12:1, valvole in Nimonic da 43 all'aspirazione  e da 38 allo scarico. I più esperti o maliziosi si chiederanno:"...come sono riusciti a inserire le valvole da 43mm, ammesso che dicano il vero"?
Risposta: le testate originali Montjuich sono state private delle guide valvola, riportate di materiale tramite elettrosaldatura e riforate con una angolazione diversa dall'originale, in modo da poter incrociare l'aspirazione con lo scarico, senza entrare in contatto meccanico. Anche il profilo degli alberi a cammes è piuttosto spinto, tant'è che, come si nota dalla scala del contagiri, non ci interessa che tenga il minimo!
I carter motore, rinforzati, sono presi dalla produzione di serie, come pure le bielle e il cambio.
Un accenno merita il mozzo della frizione che, contrariamente all'originale, è in lega leggera.
Un motore con queste caratteristiche merita sicuramente due carburatori generosi come sono i PHM da 40 ai quali è stata regolata diversamente la pompa di ripresa. Tutto sommato il motore, anche se non spremuto a fondo, ha rivelato ottime doti di accelerazione e di punta velocistica, tanto da infastidire blasonate quadricilindriche.
Ad essere sinceri non abbiamo mai voluto considerare la possibilità di testare la moto al banco, e ci scusiamo se non siamo entrati molto nei particolari; lo abbiamo fatto per motivi di sicurezza Nazional-Bolognese, nonchè costretti da due autorità come la C.I.A. (Comitato Inventori Autodidatti) e l'F.B.I.(Federazione Bicilindrici Italiani).

giovedì 1 settembre 2011

05 Una ricetta Pantah per buongustai

A cavallo degli anni ottanta la Ducati propone ai clienti un motore che, in fatto di affidabilità e prestazioni, unita ad una facilità di manutenzione e/o riparazione, ha avuto pochi altri eguali: è il Pantah, in tutte le cilindrate proposte dalla Casa (350-500-500-650 e750cc), come in tutte le "trasformazioni"più o meno corsaiole di questo propulsore. Ed è proprio di queste ultime che ci vogliamo occupare!
Il motore si prestava a diversi tipi di elaborazioni ma, per una più facile reperibilità di materiale, avevamo scelto queste due: una stradale da 705cc ed una pistaiola da 783cc.
Nel primo caso il punto di partenza era un carter motore  500 o 600cc, che hanno come caratteristica comune la corsa dell'albero motore di 58mm, alla quale abbinavamo due cilindri e pistoni con un alesaggio da 88mm.
Il materiale da utilizzare era il seguente: due alberi a cammes del Pantah 500, perchè avevano una fasatura molto spinta e due pistoni con rapporti di compressione piuttosto elevati, come quelli  normalmente montati sui modelli 750S/SS e tutta la serie F1, un radiatore olio supplementare e due PHM da 40mm.
Per questa trasformazione si dovevano raccordare al meglio i condotti di aspirazione, eliminando eventuali imperfezioni, il volano poteva essere alleggerito senza esagerare e l'impianto di scarico, oltre che obbligatoriamente  2 in 1, doveva senz'altro essere più aperto di quello di serie. Tutto il materiale di cui parliamo era allora reperibile presso Ezio o dai ricambisti Ducati, oppure nei vari mercatini specializzati.
L'aumento di potenza determinato da questa trasformazione era di circa 12cv, che già di per se erano un buon risultato. Ma si poteva fare di meglio!
Nel caso della preparazione del 783cc, il discorso si faceva più tecnico e presupponeva una conoscenza motoristica più estesa.
Il punto di partenza, come minimo, doveva essere un basamento da 650 oppure 750cc, e i motori che si potevano utilizzare erano diversi e andavano dalla Cagiva Alazzurra 650 (meglio se con frizione a secco) ai vari 750 S/SS, le F1 e le Elefant 650-750.
Alla corsa dell'albero motore di 61,5mm si abbinava un alesaggio da 90mm. Nelle testate si potevano alloggiare valvole di aspirazione con diam.di 41mm o addirittura 42,5, mentre allo scarico si arrivava a 37mm.
Varie fasature di alberi a cammes incrementavano anche il regime di rotazione fino a 11.500RPM, e la migliore prestazione si otteneva lucidando i vari condotti di aspirazione e scarico e alleggerendo tutti gli organi della distribuzione (bilancieri-pulegge...).
Era d'obbligo la lucidatura e la bilanciatura dell'albero motore e delle bielle, mentre il volano doveva essere sottoposto ad una  cura dimagrante radicale. L'alleggerimento degli altri organi interni al basamento era un capitolo a parte e, per motivi più che altro di costo, facoltativo. Come alternatore consigliavamo un modello racing di ridotte dimensioni che corrispondeva ad un minore assorbimento di potenza e candele Champion di grado piuttosto freddo.
L'alimentazione si affidava  a carburatori di grosso calibro quali i Dell'Orto PHM da 40-41-42.5mm, oppure i Keihin da 41 con valvola piatta. La nostra esperienza ci diceva che con i Dell'Orto si guadagnavano alcune centinaia di giri in più, anche se la carburazione risultava più difficile da tarare.
Pe il montagio del radiatore olio supplementare si partiva sempre dall'uscita del bulbo di pressione posto a fianco del cilindro orizzontale e si ritornava o attraverso il coperchietto dei cuscinetti degli alberi a cammes sulla testata, oppure direttamente nel carter, usando tubazioni apposite di tipo aeronautico.
La potenza che poteva esprimere quest'ultima preparazione era di circa 85cv alla ruota, sufficiente a dare del filo da torcere anche a moto più potenti, ma che risultavano più pesanti a tutti gli effetti.
Se poi consideriamo il tutto in una ciclistica con soluzioni tecniche evolute...
...ma di questo parleremo un'altra volta.

venerdì 17 settembre 2010

04 Nove...in uno

Sono ancora molti i possessori di modelli Pantah o Alazzurra che vorrebbero non solo trovare un meccanico di fiducia al quale affidare l'amata creatura, ma anche aggiornarla stilisticamente, oppure stravolgerla in modo tale da ricavarne un mezzo affidabile sia su strada che in circuito.
Sì, perchè il circuito sta diventando una passione mediterranea al punto da sconvolgere mentalmente i centauri dell'ultima generazione e anche quelli che, come noi, gli anta li hanno già sorpassati, in curva per di più! Gente che cerca in tutti i modi di acquistare una moto da pista, gente che possiede l'ultrima nata in casa Ducati e consegna le targhe all'ACI, gente che, con l'aiuto di un amico dell'amico, riesce a procurarsi un pezzo speciale usato solo per un campionato, gente che usa le slick anche per girare su strada, gente che trasforma la strada in una pista e gente che, anche dopo quattro incidenti e sei viti in titanio sparse per tutto il corpo, si diverte ancora ad impennare, come si dice dalle nostre parti.
Si può dar torto a tutti? Crediamo proprio di no!
Siamo stati testimoni, in questi ultimi anni, di un cambiamento: una volta, quando decidevi di partire la domenica per fare qualche centinaio di chilometri in sella alla tua moto, non vedevi l'ora di alzarti presto al mattino, fossero state anche le 5; dopo qualche tempo siamo stati veramente costretti ad alzarci alle 5, se non altro per evitare il traffico che di lì a poco si sarebbe creato lungo l'itinarario scelto; poi sono venuti i limiti di velocità, i controlli della Stradale, le ordinanze dei Sindaci e sempre più pubblicità di auto a rate che compri oggi e forse le paghi l'anno dopo.
Sta di fatto che ci siamo trovati tutti in colonna, sì ... in colonna, come se fossimo comodamente seduti sulla nostra vettura e non potessimo far altro che aspettare che l'ingorgo si smaltisse. Allora che fare?
Si va in pista! Eh, ma la pista è lontana da dove abiti...però ci vai! Eh, ma quelli della pista vogliono un sacco di soldi...però ci vai! Eh, ma alle prove libere si sgomita per entrare perchè si è in tanti...però ci vai! Eh, ma se ci fossero più piste in Italia...
E non abbiamo ancora parlato della dotazione tecnica delle moto per poter girare e fare il tempone e avere qualcosa di cui andare fiero con gli amici al bar.
Ma torniamo ai nostri appassionati del Pantah. Se anche voi avete pensato alcune volte alla possibilità di andare in pista non demoralizzatevi, perchè c'è posto per tutti, e vogliamo addirittura aiutarvi a coronare il vostro sogno senza nemmeno spendere tanto.
Ci credereste se vi dicessimo che abbiamo utilizzato i componenti di ben 9 motociclette per prepararne una?

Quella che vedete nelle immagini è una special con il telaio come il vostro, dotato di un forcellone monoammortizzatore Ducati F1 e di forcelle che appartenevano ad una Laverda 750 S, mentre i dischi freno anteriori li montava una Gilera GP di qualche anno fà.
Per cupolino abbiamo adattato quello di una 888 Racing, e il serbatoio apparteneva ad una Alazzurra, mentre il codone ben figurava su di una Gilera Piuma. Il motore poi, è stato ottenuto sfruttando il basamento originale in accoppiamento alla parte termica di una 750 SS.
Non dimentichiamoci poi del radiatore dell'olio, ex Elefant 650. Ma andiamo con ordine e analizziamo con calma i vari componenti. Il lavoro più grosso è stato quello relativo al motore (chi ci ha conosciuto sa bene che quando ci mettevamo in testa di far andare forte qualcosa, inventavamo strane soluzioni per raggiungere lo scopo). Non stiamo certo parlando del colore dei carter, bensì del fatto che nel basamento del 650 gira un albero motore del 600, che è ben 3,5 cm più corto dell'originale, e alla corsa di 58 mm abbiamo abbinato cilindri e testate di una 750 SS che, rispetto al Pantah originale, ha il cilindro posteriore con la luce di aspirazione in senso marcia. Per complicare ulteriormente le cose, invece dei pistoni originali abbiamo usato due RAM con rapporto di compressione pari a 12:1 unitamente a valvole da 41mm in aspirazione e 36mm allo scarico. Quello che abbiamo fatto agli ingranaggi è stato più o meno identico a quello che farebbero i simpatici topolini dei cartoni animati ad una forma di fontina: buchi!
Ad essere sinceri abbiamo controllato anche il bilanciamento dell'albero motore e siamo intervenuti drasticamente sulla trasmissione primaria e sulla campana della frizione. Questo tipo di lavorazione è divenuta ormai una consuetudine in tutte le nostre creazioni, con qualche piccola variante a seconda del modello da preparare. In questo caso abbiamo dovuto modificare la forma del collettore relativo al carburatore del cilindro posteriore per poter montare i PHM Dell'Orto da 40. Inoltre, dato che l'utilizzo previsto era esclusivamente rivolto alla pista, abbiamo eliminato il motorino d'avviamento (2.100gr), chiudendo l'imbocco del carter con un leggerissimo tappo in alluminio.
Anche i tubi di scarico seguono un percorso diverso dal solito, sempre in funzione della scelta operata al cilindro posteriore, terminando in un silenziatorte molto leggero, in alluminio, con tubo centrale traforato e lana di vetro a riempire il volume rimanente. Per una buona resa di questo impianto, abbiamo strozzato leggermente l'uscita finale.
Per aiutare poi la dispersione del calore, abbiamo dotato il motore di un radiatore dell'olio che, partendo direttamente dal bulbo pressione sul carter destro, lo rimanda nelle singole testate attraverso viti forate sui supporti cuscinetti degli alberi a cammes, utilizzando delle sottili tubazioni plastiche. Praticamente l'impianto completo di una Cagiva Elefant 650. E fin qui il motore, che con i suoi 705cc gira veramente bene, a condizione di fargli arrivare benzina attraverso rubinetti adeguatamente proporzionati.
Sapete come si calcola questa cilindrata? Trovando l'area del cerchio dell'alesaggio e moltiplicandola per la corsa e il numero dei cilindri. In questo caso 88mm (diametro pistone) : 2 = 44mm (raggio). Raggio x raggio x3.14 x58 (corsa) x2 = 705,16cc , una gran bella cilindrata. Questo motore l'abbiamo incastonato in un telaio irrobustito da travetti diagonali, in tubo di sezione inferiore, saldati a TIG, per evitare di scaldare troppo la parte interessata alla giunzione e prevenire fenomeni di deformazione dei materiali. La saldatura TIG si ottiene utilizzando una particolare pipetta con inserito un elettrodo di tungsteno che lavora in atmosfera protetta da un gas inerte quale è l'argon, e crea così un arco elettrico dal polo negativo (elettrodo) a quello positivo (materiale) per trasmissione di elettroni ad alta frequenza. A questo punto si crea la fusione tra i metalli e, attraverso delle sottili verghe di materiale adatto, si riempiono gli eventuali spazi vuoti tra gli elementi da saldare. Tale telaio avrebbe potuto ospitare anche un motore di cubatura superiore e molto più potente e, in verità, la prima volta che lo abbiamo utilizzato a Zeltweg, in Austria, durante il Ducati Speed Week, montava un Montjuich 750 e correva nella classe riservata ai 900 2 valvole, dove si è guadagnato il settimo tempo in griglia di partenza. Peccato che durante la gara un problema elettrico ci abbia penalizzato, anche se non irrimediabilmente. Da allora non abbiamo più utilizzato il sistema di eliminare completamente l'alternatore e sfruttare solo la durata di una batteria per portare a termine la gara.
Il forcellone che abbiamo utilizzato è quello di una Ducati F1 prima serie, con l'aggiunta di due piccoli rinforzi alla capriata superiore. Su questo forcellone attualmente lavora un monoammortizzatore Double System, senza molla elastica, con doppia regolazione, ma in futuro potremmo optare per un modello più tradizionale, sempre però in posizione cantilever, cioè in presa diretta tra telatio e forcellone.
All'avantreno una Paioli rovesciata con steli da 41mm che equipaggiava una bicilindrica Laverda 750 S e che si comporta egregiamente anche sotto l'azione dei poderosi dischi in ghisa da 290mm che provengono da una Gilera 250GP.
Tutto l'impianto frenante è della Brembo ed è collegato tramite tubazioni ad alta pressione, rivestite cioè da una fittissima maglia in acciaio in grado di sopportare circa 200 atm di pressione senza dare luogo a deformazioni . Anche non utilizzando una pompa radiale si possono ottenere decelerazioni sorprendenti, perchè il peso complessivo è veramente contenuto, merito anche della coppia di cerchi Marvic Penta in lega di magnesio. Nel cupolino trovano collocazione il contagiri, la batteria e l'interruttore per mettere in funzione l'impianto elettrico in fase di avviamento.
Il serbatoio Alazzurra e il codone Gilera Piuma completano la dotazione di questa special che ha qualcosa da dire in pista, senza nulla togliere alle grandi primedonne Ducati.
Se volessimo quantificare in soldoni questo risultato, saremmo grossomodo attorno ai 4.000 euro, che non sono poi così tanti. Detto questo vi lasciamo ai vostri pensieri. Lo sappiamo... state già pensando a cosa fare del vostro Pantah 600 originale. Il Vècio Pìcia lo avrebbe saputo!



















mercoledì 15 settembre 2010

03 La "B..i..ella e la Bestia"

     Sappiamo più o meno tutti che, all'interno dei carter di un moderno motore motociclistico, è alloggiato un albero a gomiti (o albero motore) supportato dai cuscinetti di banco, e che nel basamento vi sono una o più aperture alle quali vengono fissati i cilindri in cui scorrono i pistoni che a loro volta sono vincolati all'albero motore tramite delle bielle.
     Già, la biella, croce e delizia dei meccanici preparatori, oggetto avvolto da quell'alone di mistero che circonda qualsiasi cosa che, pur muovendosi, è impossibile vedere coi propri occhi.



La biella è il punto di giunzione tra il movimento rettilineo del pistone e il movimento rotatorio dell'albero motore. Tutto questo manovellismo sopporta pressioni e temperature piuttosto elevate, soprattutto nel momento in cui il pistone viene spinto violentemente dai gas in espansione che trasformano la fase di combustione in energia meccanica per far ruotare l'albero.
     Ogni parte del motore, a seconda della funzione che svolge e in base alle sollecitazioni e alle temperature di esercizio cui è sottoposta, è costruita con materiali tra loro assai diversi: da un lato bisogna avere temperature elevate, dall'altro occorre che queste non vadano a scapito dell'affidabilità. E'chiaro che per realizzare un organo come la biella non si possono utilizzare leghe d'alluminio perchè, anche se queste ultime assicurano una notevole resistenza termica, non sono paragonabili per trazione, flessione e durezza ai migliori acciai al carbonio o a quelli speciali.
Una biella è caratterizzata da una testa che lavora sull'albero a gomiti, un fusto e un piede che alloggia lo spinotto per trattenere il pistone.
Nei motori a quattro tempi la testa è dotata di un cappello amovibile che viene fissato tramite viti o bulloni ad alta torsione.
Anche nel disegno la biella deve essere razionale, avere nervature di rinforzo nei punti più sollecitati e, soprattutto nei motori da competizione, avere la sezione del fusto con la forma di una H orizzontale.
In questo modo, tramite dei piccoli fori praticati sul piede e sulla testa, si riescono a lubrificare le bronzine interposte allo spinotto e all'albero, utilizzando il solo sbattimento dell'olio in camera di manovella.
    
     La costruzione di una biella inizia dalla fucinatura del pezzo, cioè da un forno che porta il metallo ad una temperatura prossima alla fusione, in uno stato cosiddetto plastico, per poi inserirlo in uno stampo che viene chiuso tramite pressioni elevatissime da parte di un maglio o di una pressa idraulica. In seguito, dopo le lavorazioni meccaniche di finitura, si fa uso anche di trattamenti superficiali come la nitrurazione, per aumentare la resistenza meccanica. In questi ultimi anni poi, sono comparse le bielle in titanio, materiale che offre caratteristiche simili a quelle degli acciai, ma con peso ridotto.
E'evidente come le difficoltà di lavorazione di questo materiale incidano sul costo finale del pezzo, ma ciò depone a favore di quelle poche aziende, come in questo caso la bresciana LLS, che a livello internazionale propongono novità in campo motociclistico e non solo.
     La prova da noi effettuata con queste bielle montate su una 996 Biposto del '98, completamente originale, ha portato ad un incremento di ben 8,1 Cv all'albero, per un totale di 132,2.
E' bastato riequilibrare l'albero motore in funzione del peso ridotto delle nuove bielle: il bilanciamento degli organi interni del motore è infatti un parametro di fondamentale importanza per chi intende adottare questa soluzione tecnica, visto che solo in questo modo si eliminano le fastidiose quanto pericolose vibrazioni che creano tensioni estreme negli organi in movimento.
Le bielle sono disponibili sia per il 2 valvole che per il desmoquattro.